MILANO – Il porto di Rotterdam e quelli italiani? Non scherziamo per favore, siamo su universi nemmeno paralleli. Certo non l’ha detto in termini così brutali la bella ed algida olandesina Caroline Van Doorn, senior polity advisor della Port Authority di Rotterdam. Ma quando ha parlato del sistema operativo del suo mega-porto, la dottoressa Van Doorn ha snocciolato cifre e velocità che nessuno ha frainteso. Compresi i tempi relativi ai passaggi in dogana, che a Rotterdam sono ridottissimi grazie ai sistemi – comuni anche alla Germania e ad altri paesi europei – per cui le merci fanno dogana all’origine e arrivano in banchina già con tutte le carte in regola.
Semmai il bel visino è avvampato di sdegno quando qualcuno, nella tavola rotonda che ha seguito le relazioni dell’Assemblea pubblica di Fedespedi, ha provato a coinvolgere il presidente di Assologistica Nereo Marcucci in un improponibile paragone tra Rotterdam e Gioia Tauro. Davanti a un Marcucci che ha snocciolato le abissali diversità dei due mercati relativi – i noti 800 milioni di potenziali utenti per le aree del retroporto di Rotterdam, contro al massimo i 20 milioni per Gioia Tauro comprendendovi con molta generosità anche la Padania – la manager olandese ha voluto chiarire che non si tratta solo di bacini di utenza ma anche di sistemi, di organizzazione e di attenzione ai mercati. Sottinteso: e non alle istanze più o meno politiche per cui la Germania (concetto ribadito anche da Marcucci) ha tre soli porti, l’Olanda due contro le 25 Autorità Portuali italiane, con una nostra frammentazione di traffici e una polverizzazione di risorse che non ha eguali in Europa e probabilmente nel mondo.
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