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Essere o non essere

LIVORNO – La frustata che è arrivata sui porti italiani dall’“Index” della Banca Mondiale sull’efficienza, se sembra essere ignorata a livello di governo ha però aperto un dibattito tra gli esperti, gli operatori e i maitres-a-penser.

Ad accendere la miccia anche le recenti dichiarazioni su queste pagine del presidente di FISE-Uniport Federico Barbera, con qualche condivisibile amarezza di corredo.

Ci siamo quindi posti il compito di allargare il dibattito e – come potrete leggere già qui a fianco – dare spazio alle legittime analisi degli esperti.

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Sia chiaro: noi esperti non lo siamo. E il fatto di scrivere da oltre mezzo secolo di portualità non ci autorizza a dare sentenze. Ma un interrogativo possiamo comunque consentircelo: e riguarda la natura degli enti di gestione dei nostri porti, enti pubblici nati con la riforma del ’94 e assoggettati poi a tanti ritocchi non sempre felici con la successiva riformina di tre anni fa, in attesa della sospirata riforma della riforma che non è mai arrivata.

L’interrogativo, dunque:

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è proprio la soluzione migliore per la gestione di un porto moderno lo stato giuridico di ente pubblico con cui operano le AdSP? Perché in buona parte dei paesi più avanzati non è così, e ci sono svariate formule tutte a prevalenza privata o semi-privata? Perché l’essere enti pubblici costringe le AdSP a una sudditanza alla peggiore burocrazia di Stato? E mette i loro presidenti sotto la spada di Democle di decine di controlli spesso sovrapposti e contraddittori, tali da rendere utopistica la certezza del diritto?

*

Non a caso, a più riprese e da più pulpiti, si è detto che oggi fare il dirigente di un ente o istituzione pubblica è avere la vocazione al martirio. Il che però non consente ugualmente di realizzare quell’efficienza gestionale la cui mancanza l’Index della Banca Mondiale ci contesta. Ci rendiamo conto dell’esasperante lentezza con cui il pubblico opera, dove una gestione privatistica potrebbe correre in tempi non storici? Esempio: le opere urgentissime per cui sono stati nominati urgentemente i commissari dal precedente governo mancano ancora del reale avvio per l’incrocio di passaggi, di placet, di conflitti di competenze inutili e dannosi?

Troppi interrogativi? Troppa approssimazione? Troppa faciloneria da quattro soldi la nostra?

Vorremmo invece capire: perché essere o non essere efficienti non è soltanto un marchio, ma anche una componente importante del rilancio del nostro amato ma troppo sgangherato Paese.

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Invece si continua con le carte bollate: nei giorni scorsi il Consiglio dei Ministri ha approvato un “decreto di riorganizzazione del MIMS”, ovvero del Ministero che solo pochi mesi fa era stato riorganizzato come Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile. Si va avanti a etichette ideologiche? Si punta – dice il decreto – “a una mobilità sostenibile che migliori la qualità della vita delle persone e le attività delle imprese interconnettendo e valorizzando i diversi territori, una maggiore attenzione alle politiche abitative urbane e alla riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico, il riconoscimento del ruolo centrale delle nuove tecnologie per una gestione integrata dei sistemi di trasporto di persone e merci”. Bella etichetta, bellissima. Ora però aspettiamo i fatti.

Antonio Fulvi

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Pubblicato il
30 Giugno 2021

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