Fuoribordo, sempre più in sù

Un tempo il motore fuoribordo era, per sue stesse caratteristiche, una soluzione leggera, amovibile e con il minimo della complicazioni meccaniche. L’esempio storico? L’inglese Seagull, una specie di tubo con un monocilindrico a carburatore, una grande clic da spinta e niente marce. Per la retro, si ruotava il motore di 180 gradi.

Preistoria: oggi il fuoribordo delle maggiori case è una gara a chi fornisce più potenza, con sofisticata elettronica, pluricilindrico e ovviamente peso e costo adeguati. In teoria è ancora amovibile, saper farlo ci vuole una gru di cantiere. Però il mercato premia questi “mostri” e dunque, piatto ricco, mi ci ficco.

L’ultima novità viene dalla Suzuki, che come le altre marche giapponesi confina ad essere tra le regine del mercato. Si chiama DF 300/350, offre due potenze diverse dallo stesso blocco motore (miracolo dell’elettronica e delle tarature) ha 6 cilindri contrapposti e, suprema raffinatezza, una doppia elica controrotante. La timoniera non è più a cavo ma elettronica, drive-by-wire: ovviamente meno pesante per gestire questa potenza e questo peso (si sfiorano i 400 kg): i doppi iniettori dovrebbero permettere una combustione “magra” che secondo la casa fa risparmiare il 15% dei consumi. Infine è cambiata l’estetica, più raffinata e meno massiccia in calandra. La dolente nota: mettete in conto circa 30 mila euro per il meno potentesi, un paio di mila in più per l’altro.

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