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LA SVOLTA DI TRUMP

“Dazi-autogol contro noi operatori Usa, rischiamo di chiudere”

L'accusa di Acl, controllata da Grimaldi

LIVORNO. Il porto di Livorno diventa il numero uno del Mediterraneo quasi mezzo secolo fa: lo fa sfruttando l’invenzione del container, la brillante idea di un impresario americano dell’autotrasporto. Qualche anno prima era nata l’alleanza fra cinque compagnie di navigazione europee con il pallino di specializzarsi sull’asse fra le due sponde dell’Atlantico: la Atlantic Container Line, in sigla Acl, una delle prime a far andare e venire fra Europa e costa est degli Stati Uniti navi portacontainer. Ora sembrerebbero talmente piccole da esser tutt’al più utilizzabili per rotte alquanto periferiche e proprio minori.

A distanza di quarant’anni da quei primordi pionieristici, la Acl passa completamente nelle mani del gruppo italiano Grimaldi e, quasi nello stesso periodo, sposta il quartier generale in un borgo del New Jersey, Westfield, a 16 miglia da Manhattan. Ora questa compagnia – con capitali napoletani e radici a stelle e strisce perché americano è l’amministratore delegato, americani i clienti e americano il personale – è balzata sotto i riflettori negli Stati Uniti in quest’era dei dazi di Trump. È diventata il simbolo di quel paradosso che è questa bislacca storia dei dazi scaraventati sul tavolo per prendersi un po’ a sberle e neegoziare…

Il presidente statunitense Donald Trump

Qui in realtà stiamo parlando di quei particolari “dazi”  portuali. Sono multe punitive contro le flotte armatoriali che si sono affidate ai cinesi per farsi costruire le navi: gli Usa non ce la fanno neanche lontanamente a fare concorrenza ai cantieri cinesi (anche per via dei generosi aiuti statali di Pechino) ed ecco che Trump, non potendo colpire il nemico, mette nel bersaglio chi gli si è rivolto come cliente. È una storia che la Gazzetta Marittima ha già raccontato (qui e qui i link agli articoli): dazi-castigo alle navi costruite in Cina se toccano banchine americane Anzi, vedremo poi la decisione finale ma l’ipotesi era quella di colpire tutti gli armatori che abbiano nella loro flotta anche solo qualche nave cinese.

E Acl, cosa c’entra? C’entra, perché in questa storia appare come Davide di fronte al Golia della Casa Bianca: praticamente il simbolo di chi sta cercando di convincere l’amministrazione Trump a uscire dal vicolo cieco in cui si è cacciata per motivi ideologici. L’amministratore delegato di Acl, Andrew Abbott – un tipo dalla fisiognomica yankee al 101%, altro che il Vomero o Secondigliano – lo dice in modo chiaro al “Lloyd’s List”. Il ragionamento si può riassumere così:  se andasse avanti questa sorta di sanzioni non si farebbe altro che causare una tale esplosione del prezzo dei noli che farebbe impallidire il boom nell’era del Covid e questo sconquasserebbe le catene logistiche di approvvigionamento delle aziende americane. Aggiungendo poi: l’azienda sarebbe costretta a «terminare le sue linee americane, a chiudere i suoi uffici americani, a licenziare il personale americano»…

Non è il solo: il giornalista Greg Miller, in un pezzo dell’11 marzo scorso (ben prima dello sconquasso dei titoli a Wall Street: il Nasdaq che perde quasi sei punti e Dow Jones settore trasporti più di nove, una catastrofe…), mette in fila l’uno dopo l’altro una sfilza di operatori economici che indicano gli effetti boomerang del provvedimento immaginato per colpire le navi: al di là di tutto, bisognerebbe capire che anche l’export delle aziende americane viene inviato dall’altra parte del mappamondo quasi sempre in nave.

La controreplica dei filo-Trump: bene, così si incentiverà a costruire navi battenti bandiera americana e in cantieri americani. Peccato che le cose siano un po’ più complesse di così: gli addetti ai lavori semmai si attendono una riduzione dell’arrivo di navi in porti statunitensi, magari per scaricare o caricare in porti un po’ più lontani (Canada? Centro America?) ma che non piantino grane. Risultato: un autogol per il sistema dell’export (l’efficienza della catena logistica è anch’esso un fattore di competitività) e per i porti americani (meno navi da scaricare e/o da caricare, con l’harakiri sulla capacità esportatrice degli Usa che già non è brillantissima).

Al lavoro sulla banchine in uno dei terminal del porto di New York

Al “Lloyd’s List” risulta che un coro di risposte negative e/o perplesse sia piovuta sull’ipotesi di multa attorno al milione di dollari (o anche un milione e mezzo) per gli operatori che abbiano in casa navi fabbricate in Cina. Il titolo del pezzo non potrebbe essere più esplicito: “Gli Stati Uniti potrebbero dover fare i conti con  una “apocalisse” del commercio se il piano di Trump sui dazi portuali non verrà affossato”.

E a Cnbc, il canale di notizie economiche nato dalla costola di Nbc, lo stesso Abbott l’ha toccata ugualmente piano: 1) qualora le ipotesi di dazi-punizione nei porti si concretizzi, per Acl non sarà possibile contare su alcuna logica economica per continuare a operare come azienda di trasporto merci all’interno degli Stati Uniti; 2) queste misure colpiscono gli esportatori e gli importatori americani peggio di chiunque altro.

D’altronde, basti dire che la Cina è uno dei cantieri navali del mondo: il report di Confitarma ammette senza giri di parole che, nella flotta made in Italy (con navi oltre le mille tonnellate di stazza lorda), quasi il 18% è stato costruito in stabilimenti cinesi. Di più: negli ordinativi attuali, sempre guardando all’armamento italiano, e ora più dell’84% è stato commissionato a operatori cinesi. Perciò: difficile trovare qualcuno che ne resti fuori, se è vero – lo segnalano gli addetti ai lavori di “Metro” – il gigante numero uno nei mari del pianeta con le sue portacontainer (Msc) ha «il 24% della sua flotta costruita in Cina» e «il 92% dei suoi ordinativi sono per cantieri cinesi».

A G-Captain, altro canale informativo per la comunità internazionale dei marittimi, il numero uno di Acl ha ricordato come mai si sono rivolti ai cinesi per costruire 13 anni fa la loro ultima classe di cinque navi: i giapponesi si sono rifiutati di fare offerte, i coreani hanno declinato l’invito per via della tipologia particolare di navi, i cinesi hanno detto sì. E ai cantieri navali americani, non hanno bussato? Certo che sì, ma gli stabilimenti Usa interpellati hanno risposto che non avevano “slot” disponibili per almeno sette anni perché la Marina militare americana aveva prenotato tutta la capacità disponibile.

A meno che la strategia non abbia a che vedere con l’intenzione di fare cassa: cioè rimpinguare le esauste casse americane a suon di balzelli. È una bislacca teoria saltata fuori qua e là anche nell’entourage di Trump: non si sa quando sono stupidaggini buttate in pasto come arm di distrazione di massa e quando sono orientamenti effettivi, fatto sta che sarebbe come se la premier italiana Giorgia Meloni pensasse di pagare l’astronomico debito pubblico italiano facendo il giro delle scuole per spaccare i salvadanai dei bambini.

L’infografica è tratta da un report di Assoporti-Srm

“Shipping Italy”, rilanciando la storia in Italia, tiene a sottolineare i numeri che la compagnia americana del gruppo Grimaldi ha indicato nel documento presentato in sede di consultazione pubblica: «La tariffa di trasporto di 500 dollari per un container di 40 piedi dal Nord America al Nord Europa aumenterebbe dalla sera alla mattina del 500% e quella di 2.500 dollari per un 40 piedi dall’Europa al Nord America crescerebbe almeno dell’80% se le misure venissero implementate».

Il sito genovese addita le «conseguenze paradossali» proprio riguardo agli intendimenti della manovra di Trump su questi “dazi” portuali: «Mentre una società gestita dagli Stati Uniti come Acl avrebbe questi enormi nuovi costi – dice Acl – avrebbe bisogno di tariffe di trasporto drasticamente più elevate per coprirli, i nostri concorrenti cinesi eviterebbero una gran parte delle tariffe, viaggiando sulle navi non costruite in Cina dai loro partner dell’alleanza da/per gli Stati Uniti». Risultato: Acl potrebbe essere costretta a lasciare il mercato Usa per via di una proposta nata per favorire gli operatori americani e invece «i nostri concorrenti (compresi i vettori cinesi) catturerebbero il nostro carico di container e i produttori americani di carichi fuori misura perderebbero il loro vettore principale».

Mauro Zucchelli

Pubblicato il
4 Aprile 2025
di MAURO ZUCCHELLI

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