Fallisce la Conferenza Onu per salvare gli oceani dal Far West estrattivo
L'Italia è fra i Paesi che non hanno aderito
NIZZA. Il 64% dei mari sono «fuori da qualunque strumento di governance ambientale ed economica». Da tradurre senza giri di parole: si rischia «un vero e proprio Far West sui fondali marini», sono «minacciati da estrazioni selvagge» con l’industria estrattiva che punta alle ricchezze minerarie nelle aree abissali. È l’allarme che salta fuori alla Conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani (UnoC3) di Nizza: anche perché, come denuncia la Fondazione Marevivo che ha partecipato ai lavori, «non si è riusciti a trovare l’accordo di un numero sufficiente di Paesi per ratificare il Trattato internazionale per la biodiversità dell’Alto Mare».
Eppure i dati che sforna la Fondazione parlano da soli: «L’oceano copre oltre il 70% della superficie del pianeta, produce il 50% dell’ossigeno che respiriamo, immagazzina un terzo della CO2 prodotta dall’uomo, assorbe il 90% del calore in eccesso, contribuisce all’equilibrio della biosfera terrestre e al sostentamento alimentare ed economico di miliardi di persone». Ce n’è quanto basta per ritenere che vada protetto: come le cose sante, avrebbero detto i nostri vecchi. E invece «l’oceano è sotto attacco: inquinamento, soprattutto da plastica, sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche, perdita di biodiversità, acidificazione e aumento della temperatura delle acque dovuto ai cambiamenti climatici».
Tutti problemi innescati dalle attività umane: se non verranno affrontate efficacemente, – dice Marevivo – «le inestimabili funzioni che l’Oceano offre all’umanità, anche come regolatore del clima, saranno in pericolo». È stato questo l’argomento nel menù di questa edizione della Conferenza Onu sugli Oceani, filo conduttore il tema della biodiversità.

La campagna di Marevivo contro l’inquinamento dei fondali marini
Il dibattito internazionale – viene messo in evidenza – si è concentrato soprattutto su un obiettivo cruciale: l’entrata in vigore del Trattato Onu per la Biodiversità Marina nelle “aree oltre la giurisdizione nazionale”. L’hanno ratificato 50 Paesi, l’Italia no: e, dice Marevivo, «ne servono almeno 60 affinché il trattato diventi effettivo». La fondazione ecologista se la prende con il fatto che «il nostro Paese resta a guardare e si ripropone di ratificarlo non prima della fine dell’anno, perdendo l’opportunità di essere in prima linea nella salvaguardia dell’alto mare a livello internazionale». Eppure, questo trattato è «uno spartiacque fondamentale per garantire la tutela del 64% degli oceani, che si trova in acque internazionali prive di una governance ambientale vincolante».
Marevivo scende in campo insieme con le organizzazioni internazionali che si battono per la tutela del mare: in trincea a sostegno dell’appello delle Nazioni Unite affinché – si afferma – «i governi accelerino il processo di ratifica». Questo Trattato rappresenta «il primo strumento giuridico globale in grado di colmare un vuoto normativo che per troppo tempo ha permesso lo sfruttamento indiscriminato delle acque profonde e delle risorse marine».
C’è da aggiungere che alla Conferenza Onu l’Unione europea ha presentato il “Patto Europeo per gli Oceani” per iniziativa della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Obiettivo: rafforzare l’impegno comunitario verso la governance marina, promuovendo la protezione degli habitat, lo sviluppo sostenibile e la cooperazione internazionale.
La Conferenza Onu, secondo quanto riferisce la fondazione ecologista, ha affrontato anche altri aspetti rilevanti per la salute degli oceani: a cominciare dalla moratoria sulle attività estrattive minerarie nelle acque ad alta profondità, l’ha chiesto esplicitamente il presidente francese Emmanuel Macron. C’è da regolamentare le attività economiche nei mari profondi per «evitare danni irreversibili a ecosistemi ancora in gran parte sconosciuti». Marevivo lo dice senza “se” e senza “ma”: a sostegno della richiesta di bloccare «qualsiasi attività estrattiva in acque profonde fino a quando non sarà garantita la tutela della biodiversità».
Altro tema centrale è stato quello dell’inquinamento da plastica, ancora oggi una delle principali minacce alla vita marina, segnala Marevivo: «Si è parlato di un futuro “Trattato globale sulla plastica”». Per la Fondazione c’è una sola via d’uscita: occorrono «interventi strutturali che riducano alla fonte la produzione e l’uso di materiali plastici monouso, a partire da settori ad alto impatto come la pesca». Da non dimenticare, ad esempio, che alla Biennale del Mare di Livorno Marevivo ha ricordato il proprio piano sperimentale per sostituire con altro materiale le vaschette di polistirolo usate nella pesca.
Nel quadro del Nice Ocean Action Plan – viene riferito – si è discusso anche di finanza blu: c’era una idea di chiedere l’impegno a mobilitare «175 miliardi di dollari entro il 2030 per la protezione degli oceani». Diciamo che per ora sono discorsi, neanche promesse: concretamente gli impegni un po’ meno aleatori arrivano a non più di dieci miliardi. Per Marevivo bisogna evitare di abbassare le aspettative, anzi c’è da «trasformare gli annunci in investimenti reali e duraturi, soprattutto nei Paesi più vulnerabili al cambiamento climatico e al degrado ambientale».
Anche Marevivo ha portato alla Conferenza Onu una proposta concreta: è sul fronte della conoscenza scientifica e riguarda la creazione di un accordo internazionale per la catalogazione della biodiversità marina (qui il link all’ articolo della Gazzetta Marittima in cui se ne dà conto) https://www.lagazzettamarittima.it/2025/06/12/marevivo-si-a-un-accordo-internazionale-sulla-biodiversita/. «Non possiamo proteggere ciò che non conosciamo: investire nella ricerca significa investire nel futuro stesso del Pianeta»: queste le parole della segretaria generale Raffaella Giugni. L’accordo proposto da Marevivo punta a creare «un’iniziativa globale e permanente che, a partire dalle aree marine protette, utilizzi tecnologie avanzate e strumenti tradizionali per catalogare e comprendere le forme di vita marine e il loro ruolo negli ecosistemi».