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TRUMP, XI E NOI

L’Occidente che fa il bullo, la Cina che tesse la  tela del ragno

L’infografica relativa ai dati elaborati da Goldman Sachs nelle previsioni di crescita: i Paesi europei sono in violetto, quelli asiatici in rosso, il Nord America in azzurro, il Sud America in verde. l’Africa in giallo. Le previsioni 2075 vedono l’Italia al 22° posto

L’Occidente si sta presenta agli occhi del mondo come quello che dà fuoco alle polveri agitando tensioni e minacce a livello globale, soprattutto con il presidente americano Trump e il premier israeliano Netanyahu (ma senza dimenticare le accelerazioni dei leader europei sul riarmo): o, comunque anche se non fosse l’incendiario, è quello che si vede con il cerino in mano e non sa come agire per far rientrare la situazione. Dall’altro capo del mondo, l’antagonista strategico di lungo periodo, la Cina di Xi Jinping gioca le proprie carte su una narrazione opposta che guarda ai Paesi emergenti sotto il segno del “soft power”: si pensi al trattato che Pechino ha firmato con un gruppo di Paesi dell’Asia centrale per rafforzare la cooperazione.

È esattamente quello che faceva l’Europa quando era arrivata a immaginare di far arrivare l’Unione fino all’Armenia e, più oltre, infischiandosene un po’ della geografia, fin quasi proprio all’Asia Centrale. Che è uno straordinario scrigno di materie prime: il Kazakhstan è al 13° posto nella classifica dei Paesi del petrolio (e, insieme a Azerbaigian e Turkmenistan, ha una capacità produttiva di due milioni e mezzo di barili al giorno, quanto basta per entrare fra i primi dieci-undici).

Se l’Occidente non punta più all’egemonia

Dopo aver fatto shopping di porti e infrastrutture in mezza Africa, le autorità cinesi stanno consolidando i rapporti con il “cortile di casa”: l’opposto della leadership di Trump che sta rifondando il primato degli Stato Uniti non sull’egemonia bensì sul puro rapporto di forza con il Messico e perfino con il Canada. Figuriamoci con il resto dell’America Latina, diventato solo lo scenario di rimpatri forzati di immigrati irregolari. Una ostentatissima esibizione muscolare con la polizia interna Ice (United States Immigration and Customs Enforcement) che ha i pieni poteri di mettere a ferro e fuoco qualsiasi quartiere pur di stanare questi pericolosissimi stranieri colpevoli di reggere un pezzo dell’economia americana, poco competitiva nell’industria manifatturiera “matura” (e con gli standard dello “stile di vita americano” puntellato dall’uso parossistico della leva dell’indebitamento pubblico e privato).

Ecco che, paradossalmente attraverso una centrale di comunicazione basata in California, la Cina diffonde newsletter e siti di informazioni a uso di propaganda di regime ma con metolodogie “occidentali”: in più di 40 lingue.

Ecco che, pur senza citarlo mai, Pechino tiene a mostrare in tutta la sua evidenza la propria differenza rispetto all’evoluzione che sta incartando l’Occidente: Newsire rilancia le notizie di China Global Television Network, che alla fin fine potrebbe essere identificabile con un vecchio ufficio propaganda delle autorità statali di Pechino controllate dal Partito comunista cinese. In realtà, è un canale all news: come una Cnn che veicola la visione di Pechino attraverso un oceano informativo, forse Al Jazeera è il paragone più calzante.

In questo caso, Xi fa anche il bel gesto di muoversi per andare a celebrare in casa altrui – ad Astana, capitale kazakha – il vertice Cina-Asia centrale per raggiungere la firma del “trattato di buon vicinato, amicizia e cooperazione”. Sotto il segno, la ricorderete, della “Nuova via della Seta” (Belt and Road Initiative) che sarà uscita dai radar italiani e europei ma tesse ancora la tela dell’egemonia attorno al mappamondo. Ditemi: da un lato, c’è un ragno che tesse la tela senza alzare la voce e anzi fa di tutto per farti sentire importante (ma ha saldamente in mano il coltello dalla parte del manico); dall’altra, a parte l’Europa indecisa a tutto, un bullo dallo stile ormai al limite dello psichiatrico che minaccia oggi un dazio e domani non si sa, ma hai il sospetto e forse la certezza che accresca il patrimonio personale lucrando sui differenziali di borsa con una strategia che fino a ieri avresti definito “insider trading”. Ecco, chi sceglieresti nei panni di una piccola o media nazione qualsiasi da qualche parte nel globo?

Il presidente statunitense Donald Trump

La democrazia che si rattrappisce: ovunque

Beninteso, la Cina non è il paradiso: nel Democracy Index dell’Economist sta al 145° posto, ed è finita l’illusione clintoniana di poterla democratizzare grazie all’espansione dell’economia di mercato e il fascino dei soldi. Anzi, il regime ha dato un giro di vite se è vero che fino al 2018 il “voto” rimaneva al di sopra della soglia di 3,00 mentre ora è scivolato giù a 2,11 (e due anni fa a 1,94).

Ma anche in Occidente il fascino discreto della democrazia ha preso parecchi colpi, benché le libertà civili siano innegabilmente su ben altri standard. Figurarsi che anche gli Usa non sono più catalogati come “piena democrazia” bensì “democrazia imperfetta” (sono al 28° posto, fra Malta e Cile). Noi Italia peggio ancora: al 37° posto, perdendo quasi mezzo punto negli ultimi otto anni, alla pari di Capo Verde, ma sotto il Botswana e appena meglio di Polonia o India.

Per tornare alla narrazione di Pechino su questa stagione di mano tesa, vale la pena di ricordare  che questo racconto di parte cinese tiene a insistere sull’«alto livello di fiducia strategica reciproca e la ferma determinazione ad approfondire la cooperazione reciprocamente vantaggiosa», parole sante di Sun Weidong, segretario generale del Segretariato del “meccanismo Cina-Asia centrale”.

C’era una volta il piano Marshall

La Cina – viene sottolineato dal canale all news cinese – è diventata «il principale partner commerciale della regione e una delle principali fonti di investimento». Le cifre le dà l’Amministrazione generale delle dogane:  il commercio tra Cina e Asia centrale «ha raggiunto il record di 94,8 miliardi di dollari nel 2024», gli investimenti cumulativi della Cina nella regione «hanno superato i 30 miliardi di dollari».

Conviene tener gli occhi puntati anche sul fatto che nel trattato con i Paesi centro-asiatici:

  • è sancito con forza di legge «il principio di amicizia duratura», secondo quando sottolinea il presidente cinese Xi Jinping («è una pietra miliare per il presente e una solida base per il domani»).
  • Si parla di «rispetto, fiducia, vantaggio e assistenza reciproci per il perseguimento congiunto della modernizzazione attraverso uno sviluppo di alta qualità»: così Xi inquadra «lo spirito che anima le relazioni tra la Cina e i Paesi dell’Asia centrale»
  • Non c’è bisogno di far diventare l’alleanza una sorta di “Nato asiatica” perché l’accento non è messo sulla difesa bensì sullo sviluppo sotto tutela cinese
  • È costituito un “ingranaggio” di programmazione di incontri al massimo livello (capi di Stato), da tenersi ordato un incontro al vertice biennale da tenersi alternativamente in Cina e nei Paesi dell’Asia centrale.
  • a due anni di distanza «il consenso raggiunto al primo vertice è stato attuato su tutta la linea – ha affermato Xi – aggiungendo che il percorso di cooperazione si sta ampliando costantemente e che l’amicizia tra i Paesi è sempre più salda».

Andatevi a rileggere le dichiarazioni dei leader europei o dei presidenti americani negli anni della ricostruzione post-bellica a suon di piano Marshall e dite se non c’è qualcosa di simile. Oggi Trump l’ha completamente demolito: per gli Stati Uniti ha un costo troppo elevato mantenere il proprio ruolo di gendarme dell’Ordine Mondiale di rito Occidentale e dunque se gli altri vogliono la “protezione” devono pagarsela. Se fossimo a Corleone o Bagheria la interpreteremmo in un modo, diciamo che l’extracosto della propria leadership globale gli Usa non possono più permetterselo, sono “solo” una grande potenza. Trump forse nemmeno finge, se lo dimentica proprio che quella “protezione” voleva dire anche una capacità di “persuasione” sui limiti delle proprie scelte

E qui le fonti dell’ “Al Jazeera cinese” si affidano a non meglio precisati sondaggio, che ovviamente colgono le aspirazioni di Xi: 1) il 90% degli intervistati ritiene che nel “meccanismo” Cina-Asia centrale non sia una questione di rivalità o competizione, ma piuttosto «un quadro di riferimento che consente alle parti coinvolte di perseguire la stabilità, lo sviluppo e una cooperazione orientata al futuro»; il 92,4% intervistati concorda sul fatto che la Nuova Via della Sera sia «un importante bene pubblico internazionale che sostiene la cooperazione ad alto livello tra la Cina e l’Asia centrale».

L’arrivo del leader cinese Xi Jinping in Kazakhstan per il vertice con i Paesi centro-asiatici

I Brics, il sud del mappamondo e l’insofferenza verso l’Occidente

Da ultimo, vale forse la pena di mettersi nelle scarpe di un piccolo leader di un qualche insignificante Paese di quella parte di mondo che fa solo da spettatore: non è forse vero che quel pezzo di mondo ha guardato con crescente insofferenza alla leadership americana-europea e al modo con cui hanno gestito le crisi? Oltretutto qualcosa si sta muovendo e noi occidentali sembriamo sempre meno in grado di esercitare una egemonia: le economie emergenti dei Paesi “Brics+” puntano a de-dollarizzare l’economia globale, cioè a usare un’altra valuta di riferimento. Alle realtà originarie di Brasile, Russia, India,  Cina e Sudafrica, si sono aggiunti Emirati Arabi, Egitto, Iran, Indonesia e Etiopia. Un altro gruppo di paesi è arrivato al rango di “partner”: stiamo parlando di Cuba, Nigeria, Kazakhstan, Uzbekistan, Bielorussia, Malaysia, Uganda e Thailandia. Non solo: c’è parte dell’Africa che bussa alla porta (più di una quindicina: dall’Algeria al Senegal, dalla Tunisia al Burkina Faso), idem in Asia (quasi altrettanti: dal Pakistan al Kuwait, dal Vietnam all’Azerbaigian) più la Turchia e un po’ di America Latina (esempi: Venezuela, Colombia e Perù).

Una costellazione che ha al proprio interno anche tensioni (Cina e India hanno orizzonti geopolitici quasi opposti), e non è un itinerario lineare perché l’Arabia Saudita ha mezzo piede dentro e uno e mezzo fuori o viceversa (le fanno ombra gli Emirati?) e Milei ha tirato indietro l’Argentina. Ma certo non si può dire che non sia insofferenza verso il mondo a trazione americana-europea.

Come riporta ancora il citato canale 24 ore su 24 di Pechino, ecco la citazione di Cui Zheng, che all’università di Liaoning dirige il Centro di ricerca per la Russia, l’Europa orientale e i Paesi dell’Asia centrale: in un contesto globale «caratterizzato da un crescente protezionismo» (cfr. Trump) si distingue il partenariato tra Cina e Asia centrale come «nuovo modello di impegno diplomatico, che rispetta l’indipendenza, promuove i vantaggi reciproci». E soprattutto «amplifica la voce del Sud del mondo»: se questi sono i nuovi “non allineati”, la Cina ambisce al ruolo di grande padre.

Post scriptum: nel frattempo, converrebbe interrogarsi sul fatto che noi Italia siamo nel G7 ma in croncreto ne siamo fuori perché risultiamo tutt’al più la decima economia del mondo già adesso. Nel 2075 finiremo, secondo le previsioni di Goldman Sachs, al 22° posto. L’equivalente di quel che oggi è la Polonia o il Belgio: ben più giù di Turchia o Indonesia, un po’ meglio di Thailandia e Filippine: noi non lo vedremo ma i nostri figli sì. Sempre ammesso che qualche idiota non prema il pulsante della bomba atomica.

Mauro Zucchelli

Pubblicato il
19 Giugno 2025
di MAURO ZUCCHELLI

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