Le mani sulle ricchezze degli abissi ma gli oceani saranno più protetti dal 2026. Forse
Lo scorso settembre, gli ultimi due paesi che mancavano per garantire l’entrata in vigore della Legge internazionale sulla protezione degli oceani, o Trattato globale sugli oceani, hanno firmato il documento: si tratta del Marocco e della Sierra Leone. È stato così raggiunto il numero minimo (60 paesi) e dal 1° gennaio 2026 la normativa entrerà in vigore.
Secondo il segretario generale delle Nazioni Unite, Gutierrez, la legge assume un’importanza fondamentale nella sfida per la protezione degli oceani, fondamentali per preservare l’equilibrio ecologico del pianeta. «Coprendo più di due terzi dell’oceano – ha spiegato Gutierrez all’agenzia Afp – l’accordo stabilisce regole vincolanti per conservare e utilizzare in modo sostenibile la biodiversità marina».
L’iniziativa è il risultato di negoziati avviati nel 2023, frutto di una filosofia che ha iniziato a essere implementata nel 1994, con l’approvazione della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos), culminata con l’entrata in vigore di quest’ultimo trattato. Un trattato che mira a proteggere tutto ciò che riguarda ciò che accade in alto mare, quindi in acque internazionali, dove le attività di pesca aggressiva e predatoria rappresentano oggi la sfida principale, insieme alla corsa allo sfruttamento dei metalli rari, necessari per la transizione ecologica, per smartphone, televisori, led, industria della difesa. Si tratta di 17 metalli insostituibili, rari e quindi particolarmente ambiti, di cui i fondali oceanici sono estremamente ricchi.
Il trattato prevede alcuni punti qualificanti, tra cui la creazione di aree marine protette, l’equa condivisione delle risorse genetiche provenienti dai fondali marini (per uso farmaceutico e biotecnologico), la necessità di svolgere attività di valutazione dell’impatto ambientale prima che qualsiasi soggetto economico inizi lo sfruttamento delle risorse marine in alto mare, e infine la promozione delle conoscenze tradizionali da parte delle comunità locali come base per le decisioni globali.
Uno dei soggetti più attivi nella campagna di promozione del trattato e della sua trasformazione in legge con la firma di 60 Paesi è stato Greenpeace, il cui obiettivo minimo è il 30×30, ovvero la protezione di almeno il 30% degli oceani entro il 2030. Un obiettivo che non sembra molto ambizioso, ma che in realtà rappresenta un traguardo difficilmente raggiungibile per diversi motivi: innanzitutto, attualmente solo l’1% delle acque di alto mare è protetto da misure legali di salvaguardia; in secondo luogo, alcuni dei Paesi chiave non hanno aderito al Trattato. Tra questi, la Russia, che sta investendo molto denaro per aumentare il livello delle sue risorse ittiche a causa dell’aumento della domanda interna, come dimostra il programma sviluppato in Africa (in 19 Paesi), chiamato “Great African Expedition”; e gli Stati Uniti d’America, che hanno approvato il trattato con Biden, ma che potrebbero revocare questa decisione con l’attuale amministrazione.
Oggi, la principale minaccia per gli oceani, oltre alla pesca intensiva, è rappresentata dalla corsa ai minerali rari o critici. L’Autorità internazionale dei fondali marini (Isa), organo delle Nazioni Unite incaricato di supervisionare l’estrazione mineraria nelle acque internazionali, ha già concesso diverse licenze di sfruttamento a società principalmente russe, cinesi e indiane in aree oceaniche strategiche, tra cui la zona Clarion-Clipperton, nell’Oceano Pacifico settentrionale, la dorsale mesoatlantica, nell’Oceano Atlantico settentrionale, nell’Oceano Indiano e nel Pacifico nord-occidentale. La Cina possiede cinque licenze di sfruttamento concesse dall’Isa (il Paese in testa in questo senso) e la sua strategia è stata “diplomaticamente corretta”: accordi con piccoli Paesi oceanici, come le Isole Cook e Kiribati, nell’Oceano Pacifico, per esplorare le terre rare sul fondo dell’oceano in acque nazionali, senza la necessità di violare i protocolli internazionali che anche Pechino ha firmato.
Insomma, la lotta per la protezione degli oceani si preannuncia lunga e complessa, alla luce degli interessi sempre più pressanti delle grandi potenze mondiali nell’acquisizione di metalli critici, in larga misura nel rispetto (o aggirando) i trattati internazionali firmati, nel caso della Cina, o ignorandoli, nel caso della Russia.
Luca Bussotti
(Luca Bussotti è africanista, docente universitario in Mozambico, Portogallo e Brasile, oltre a essere visiting professor in atenei italiani quali Milano e Macerata)