Pierburg in vendita, a gennaio la scelta fra le tre offerte in lizza
I possibili acquirenti pare siano fondi. Il caso in consiglio a Livorno

Lo stabilimento Pierburg di Livorno
LIVORNO. Il colosso industriale tedesco Rheinmetall ha annusato l’aria che tira e ha deciso di giocare tutte le sue carte sulle produzioni militari. L’ha stabilito sulla base della spinta al riarmo europeo e soprattutto sulla base della scelta della classe dirigente del proprio Paese di rispondere alla crisi dell’auto e del modello industriale tedesco affidandosi a un piano kolossal di Berlino sotto il segno di una impennata inimmaginabile di spesa militare (la Germania butterà nella fornace una mole di investimenti che supera di slancio quella di tutti gli altri Paesi della Ue messi insieme).
È qualcosa che interessa da vicino la Toscana, e in particolare Livorno: Rheinmetall, che in passato aveva cercato di diversificare nella metalmeccanica le proprie origini di manifattura a vocazione militare, adesso ha scelto di «cedere il settore civile che conta 20 stabilimenti nel mondo con 7mila lavoratori», com’è stato sottolineato in consiglio comunale a Livorno. Proprio a due passi dal varco Valessini dello scalo labronico c’è lo stabilimento della controllata Pierburg Pump Technology Italy: 250 posti di lavoro. La conferma di questo scenario è arrivata al tavolo del ministero delle imprese e del made in Italy (con la riunione che si è conclusa con un nuovo appuntamento a fine gennaio). È da ricordare, in effetti, che la sola Pierburg Pump Technology Italy ha tre sedi in Italia: oltre ai 250 di Livorno si contano altri 135 addetti in Abruzzo e una trentina a Torino. Più di quattrocento famiglie.
In quella sede ministeriale, secondo quanto riferito dall’assessore Federico Mirabelli in aula consiliare, «è emerso che sarebbero tre i soggetti interessati che hanno presentato un’offerta»: si tratterebbe di cordate riconducibili a fondi finanziari. Da Palazzo Civico si riferisce che la capogruppo tedesca punta ad accelerare i tempi: l’ipotesi più accreditata indica che nel mese di gennaio la decisione sulla vendita con il perfezionamento del passaggio da concludersi «attorno alla metà del 2026».
Non è neanche una questione di produttività o di innovazione tecnologica. Per dirne una: lo stabilimento Pierburg di Hartha, fabbrica da 400 addetti in un paesotto in Sassonia grande la metà della metà di Rosignano, si è aggiudicata negli ultimi quattro anni per due volte una sorta di “Oscar” prima di bronzo e poi d’argento per l’eccellenza produttiva nel proprio settore. Credete che ne abbiano tenuto conto? Mica tanto. L’importante ora è riorientare l’apparato industriale in direzione delle produzioni di armamenti. Magari piangendo lacrime amare se, siccome in Ucraina sembra avvicinarsi quantomeno uno stop ai combattimenti se non la pace reale, i titoli delle fabbriche del settore difesa crescono meno o arretrano…
Rheinmetall e il colosso italiano pubblico Leonardo hanno intanto stretto alleanza nella primavera scorsa in una joint venture con quote uguali fifty-fifty (“Leonardo Rheinmetall Military Vehicles” con sede a Roma): secondo quanto riporta il quotidiano confindustriale “Sole 24 Ore”, è in ballo «il primo ordine della maxi-commessa da 23 miliardi di euro che in un orizzonte di 10-15 anni rafforzerà i mezzi a disposizione dell’Esercito italiano con circa 280 carri armati e mille mezzi di fanteria leggeri».
Lasciamo da parte quel che accade in un mercato a completo controllo politico statale com’è la difesa, per tornare alle parole dell’assessore livornese Mirabelli: «Condividiamo le preoccupazioni delle organizzazioni sindacali circa il futuro delle lavoratrici e dei lavoratori dello stabilimento Pierburg: è fondamentale che sia garantita la continuità produttiva e occupazionale. Questa è una responsabilità sociale che riguarda l’attuale e la futura proprietà». È il tasto sul quale insiste anche il sindacato: Rheinmetall non può limitarsi a mettere in vendita la fabbrica come fosse il negozietto all’angolo, chi offre di più se lo prende e ciao. Al contrario, dev’essere formalizzata la responsabilità dell’attuale capogruppo nell’assicurare per un lasso ragionevole di tempo le prospettive dell’impresa subentrante, altrimenti si rischia di ritrovarsi di fronte non a un acquirente industriale ma a soggetti interessati a nient’altro che a lucrare sullo smantellamento della realtà produttiva.
Lo stabilimento di Livorno – ripetono da Palazzo Civico – è «un punto di riferimento nel settore auto: nonostante le difficoltà del mercato automobilistico, ha continuato a mantenere buoni livelli di produttività e redditività negli ultimi anni, grazie alla dedizione di lavoratrici, lavoratori e della dirigenza». Per parte sua, Mirabelli ha garantito che l’amministrazione comunale livornese continuerà a seguire «con grande attenzione» le prossime fasi della vendita del settore civile da parte di Reihnmetall.
Nel frattempo il primo lunedì di dicembre è stato contrassegnato dallo sciopero nell’ultima ora di ogni turno di lavoro che nello stabilimento livornese Pierburg è stato proclamato dal sindacato di fabbrica (Rsu) e dalla Fiom Cgil. La protesta è contro il fatto che, secondo quanto riferiscono i promotori dell’iniziativa di lotta, «l’azienda ha convocato riunioni informative rivolte direttamente ai lavoratori» senza coinvolgere i rappresentanti sindacali Rsu e Fiom dopo l’incontro al ministero.
Rsu e Fiom denunciano «la gestione inaccettabile del confronto e della comunicazione aziendale, caratterizzata dal tentativo di aggirare il ruolo delle rappresentanze sindacali e da scelte unilaterali che alimentano incertezza e disinformazione» in una «modalità distorta di gestione delle relazioni industriali». Per tornare a mettere i puntini sulle “i”, il comunicato sindacale tiene a ribadire che:
- le assemblee le convoca il sindacato, non l’azienda.
- parlare direttamente ai lavoratori su temi sindacali significa scavalcare la rappresentanza sindacale e indebolire i diritti collettivi.
A tal riguardo si preannuncia che, «qualora dovessero emergere gli estremi di una condotta antisindacale», la Fiom valuterà «tutte le iniziative necessarie, compresa l’azione legale», come previsto «dall’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori».











