Da Vladimiro Mannocci, direttore di ANCIP, riceviamo questo contributo di analisi sullo shipping mondiale.
ROMA – La crisi finanziaria globale non ha risparmiato il mercato dei traffici marittimi. Si può anzi parlare della fine di una fase storica caratterizzata da quasi trent’anni di crescita ininterrotta dei volumi di merce e contenitori, segnata solo dalla breve crisi dovuta al default del Messico degli anni ‘80 ed alla crisi delle “tigri asiatiche” iniziata alla fine degli anni ‘90. Gli effetti di quelle crisi non intaccarono il trend generale di crescita, mentre la crisi del 2008-2009 è destinata a segnare un passaggio epocale.
La crescita esponenziale e continua dei volumi di merce trasportati sui vettori marittimi, dal periodo 1983-2007, ha indotto nello shipping fenomeni di sovradimensionamento delle flotte e degli stessi terminals portuali dedicati al contenitore che, ben difficilmente, potranno essere riassorbiti dalla pur prevedibile ripresa. I nuovi assetti dei mercati di produzione e di consumo dei beni, gli effetti della crisi hanno accelerato la mutazione delle rotte consolidate in questi decenni.
Queste dinamiche tendenziali sono il frutto di un insieme di fattori economici e geopolitici, fra i quali enumeriamo: il forte calo di consumi del mercato europeo e nordamericano, l’attuazione di politiche protezionistiche, il bilanciamento dei flussi commerciali della Cina e dell’India, ripartiti in misura sempre più equilibrata verso i paesi sviluppati e a quelli in via di sviluppo; la tendenza a finalizzare le risorse dei propri export sempre più verso i consumi interni di queste nazioni/continenti, la crescente ripresa della pirateria, gli elevati costi dell’attraversamento del Canale di Suez, il rafforzamento e lo sviluppo della direttrice ferroviaria fra Estremo Oriente ed Europa, il prossimo ampliamento del Canale di Panama previsto per il 2014. Nel lungo periodo dovremo fare anche i conti con gli effetti del mutamento del clima che sta rendendo sempre più utilizzabile la rotta polare (stretto di Bering). E’ presumibile che nello scenario descritto le tratte Est-Ovest avranno un peso decrescente, mentre assumeranno un peso crescente le tratte Nord-Sud e quelle Sud-Sud.
Seppure siano prevedibili perdite di quote di traffici per il Mediterraneo e una perdita di centralità sulle tratte Est-Ovest, si aprono anche scenari che permettono al “Mare Nostrum” di mantenere una funzione di importante crocevia assumendo una nuova centralità nella sua funzione di collegamento con vari mercati (Estremo Oriente, Africa, Medioriente, America del Sud). L’intensificazione dei traffici Infra Med, le politiche dell’U.E. che guardano ad una estensione all’Africa delle reti transeuropee per migliorare e sviluppare i flussi di trasporto fra i due continenti, l’aumento della capillarità dei servizi regionali, sono tutti fattori che aumenteranno la pluralità dell’offerta portuale. Dunque è prevedibile una crescita dello Short Sea Shipping, attraverso un crescente utilizzo dei vettori ro-ro, in quanto i livelli di infrastrutturazione dei porti nordafricani e di altri paesi in via di sviluppo situati nel bacino del Mediterraneo, non hanno raggiunto i livelli infrastrutturali, operativi e tecnologici tali da poter accogliere in modo massiccio i vettori lo-lo. Il calo generalizzato dei porti mediterranei di transhipment segna l’indebolimento del modello “hub and spoke” che ha visto negli anni passati una forte complementarietà funzionale di questi scali e quelli di “destinazione” come Livorno. Dalla riorganizzazione delle flotte viene confermata questa tendenza in quanto la cancellazione di molti ordinativi riguarda navi di oltre 8000 cntr. Aumenterà la tendenza a bypassare i porti di transhipment per approdare direttamente ai porti gateway, con navi di stazza superiore ai 4000 cntr. Per le realtà portuali come Livorno questo significherà la necessità di accelerare la realizzazione delle infrastrutture. La competitività di un porto si misura oggi soprattutto con la sua capacità di produrre “innovazione” sul piano della cultura d’impresa e dello sviluppo del sistema dei trasporti, delle tecnologie, della tutela ambientale e della crescita delle risorse umane.
Per questo è necessario vincere la sfida della qualità e dell’integrazione territoriale, affermando nuovi modelli di “governance” dei porti basati sulla cooperazione fra le istituzioni e le forze dell’impresa, della cultura, della rappresentanza sociale e della società civile.
Proprio alla luce della crisi, i suoi particolari caratteri, il ruolo del porto di Livorno assume sempre di più una funzione strategica per il rilancio e lo sviluppo dell’economia della Toscana e dell’area livornese. L’efficienza, la funzione e le prospettive di un porto, compreso quello di Livorno, si misurano prioritariamente dalla capacità dello stesso di rispondere, in termini di infrastrutture e servizi, alle esigenze del mercato dei traffici marittimi, dei servizi logistici e delle attività di natura turistica.
Senza il continuo sviluppo di queste capacità, un porto è destinato a morire, perdendo così ogni altra possibile funzione propulsiva verso l’integrazione fra il mare e la città.
Livorno ha mantenuto la sua caratteristica vincente di scalo multiproposta. Sul destino del nostro scalo pesano fattori negativi e potenzialità inespresse, la crisi ci pone di fronte ad un bivio: imboccare la via dello sviluppo e della competitività oppure quella del lento ed inesorabile declino, con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano sociale ed economico per il nostro territorio. Il periodo di commissariamento dell’Autorità Portuale ha inciso negativamente anche oltre la sua durata temporale e, come un silenzioso terremoto, ha lasciato sul campo delle macerie che con fatica sono state rimosse. Fino a che punto le nostre potenzialità resteranno vive rispetto alle evoluzioni dei nostri competitors? Quali sono i fattori su cui iniziare un percorso virtuoso? Le priorità sono evidenti: Fondali, migliore navigabilità del Canale di Accesso, una efficace struttura ed infrastruttura ferroviaria che sia in condizione di velocizzare i flussi di transito delle merci. Il Piano Regolatore Portuale rappresenta la vision, cosa vogliamo diventare. Sarebbe opportuno che su questo strumento si aprissero momenti di discussione e confronto che riuscissero ad andare oltre il coinvolgimento degli “addetti ai lavori”, perché questo tema caratterizzerà e influirà non solo l’assetto urbanistico della città di Livorno, ma anche il tessuto sociale ed economico di tutto il SEL Livorno Collesalvetti. Purtroppo in questi anni abbiamo vissuto anche una involuzione rispetto a gli indirizzi di programmazione che il porto si era dato e che andavano si, nell’indirizzo della multiproposta, ma sempre in termini di specializzazione, di selezione dei soggetti imprenditoriali, di qualificazione dei servizi e della sfera del lavoro. L’ultimo Piano Operativo Triennale ha confermato questa tendenza, anche se nei fatti siamo andati in un’altra direzione, accentuando la frammentazione, non attuando il concetto di “porto dei porti” che avrebbe dovuto aiutare la specializzazione, un “fare sistema” che realizzasse l’obiettivo di competere con gli altri porti e non all’interno del porto. Anche il P.O.T. è in scadenza ed è auspicabile cha anche su questo fondamentale atto di programmazione si apra una discussione ed un confronto. Sarà interessante capire se, specie in un momento di crisi, si continuerà nel necessario sforzo di qualificazione e di specializzazione per creare quella auspicata competitività sistemica, oppure si abbassi l’”asticella” sul contingente producendo di fatto un ritorno irreversibile al “porto dei pollai”.
Vladimiro Mannocci