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Così cambieremo, secondo Filippi

LIVORNO – Non raccontiamoci balle: il recente dibattito alla festa dell’Unità di Livorno sulla riforma portuale e i suoi riflessi sul territorio labronico, ha messo pochissima carne livornese al fuoco – per usare una metafora – e si è tenuto invece accuratamente sul generale.
[hidepost]Peccato, perché cose da dire ce ne sarebbero state. Ma forse è stata anche colpa mia: invitato a fare il “moderatore” del dibattito (io?) ho provato più volte a richiamare sui temi locali, ma non ci sono riuscito. Sono sgusciati via sui temi generali.
Del resto è stato un dibattito condizionato dal dramma del giorno prima in porto, la tragica morte di un autista schiacciato da un fork lift. Ed è stato logico che Simone Angella – Filt/Cgil intervenuto al posto dell’invitato Maurizio Strazzullo – così come Lorenzo Bacci segretario del Pd e un po’ tutti gli intervenuti (Luciano Guerrieri, Enzo Raugei, Roberto Alberti, Massimo Provinciali, Alberto Ricci) siano stati condizionati nei loro interventi dal tema delle morti in banchina. Un tema che come ha ricordato Massimo Provinciali, segretario dell’Authority (intervenuto al posto del commissario Giuliano Gallanti) è per Livorno tanto più amaro in quanto solo pochi giorni prima era stato vantato un record di “incidenti zero”.
Non riferirò il dibattito, l’hanno già fatto i quotidiani. Però un paio di noterelle me le consento.
La prima riguarda le assenze: oltre a Gallanti e a Strazzullo non si sono visti Nereo Marcucci e Luca Becce, entrambi espressione dell’utenza. Che nel dibattito è stata rappresentata da Roberto Alberti, presidente di Fedespedi, e da Alberto Ricci, presidente di Confindustria, critici in particolare sugli eccessi di burocrazia e sui tempi. Poco pubblico, più che altro di aficionados, quasi nessun portuale. I soliti esperti: Angelo Roma, Giorgio Zingoni, Gloria Dari e un altro paio di affascinanti signore in tacco 12. Poco altro. Le sedie predisposte erano molte di più. Vorrà dire qualcosa sul poco interesse per il porto (o per i dibattiti nel Pd?).
La seconda notarella riguarda le problematiche livornesi. Provinciali ha vantato giustamente l’iter-lampo del piano regolatore del porto, ed ha rimpianto lo scarso (o inesistente) rapporto con l’istituzione Comune, che lui invece vorrebbe parte attiva nella pianificazione del porto. Ma sui temi locali che ho provato a richiamare – i ritardi delle gare, le famigerate “porte vinciane”, la strada di penetrazione per la Darsena Toscana rimasta un budello da anni ed anni, il nodo della foce armata allo Scolmatore, la monocultura del contenitore (sempre fermo ai livelli di quarant’anni fa) contro le mancate risposte sui tempi dei ro/ro, eccetera, non ci sono state risposte. Anzi, ce n’è stata una: le “porte vinciane” stanno per passare all’Autorità portuale su decreto regionale. Non c’è fretta ovviamente. sembra di capire che dovrà essere adottata una struttura tecnica per gestirle … e ancora una volta i tempi della politica si dimostrano tragicamente non adeguati a quelli dell’economia.
Terza notarella, la riforma. Devo ammettere che il senatore Pd Marco Filippi è apparso convincente e anche onesto. Ha fatto capire che la riforma così come nasce non è totalmente la “sua” riforma, ma che comunque è l’avvio di un iter storico, che contiene molte cose buone e che spinge alla sburocratizzazione. Siamo partiti dalla “governance” e forse non è stata la scelta migliore – ha fatto capire – ma siamo partiti. La vera sostanza della riforma si vedrà poco a poco, con i decreti tecnici, con i “tavoli” (partenariato, Autorità di sistema) ancora da definire e da trasformare (tirata d’orecchie del Consiglio di Stato) in commissioni altrimenti non valgono niente. Sarà una strada lunga – ha detto il senatore, che in commissione è stato il relatore della riforma – con molti correttivi in corso d’opera. Ad è stata forse la notizia più significativa della chiacchierata sotto i pini dell’Ardenza. Che poi sia una buona notizia è tutto da vedere, perché c’eravamo illusi in molti che cambiasse tutto rapidamente. E non ci fosse il rischio di un’operazione alla Gattopardo, per cambiare tutto in modo da non cambiare (quasi) niente.
Antonio Fulvi

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Pubblicato il
27 Luglio 2016

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