ROMA – Panama applica in modo a detta di molti “brutale” la legge nei mercato più dura per gli attraversamenti. Della congestione nel canale si parla da tempo ma la notizia è che la situazione si sta incancrenendo, con code in entrata che sono arrivate fino a 1️⃣3️⃣5️⃣ navi 🛳️🛳️🛳️. E il diritto di saltare la fila pagando un extra (una possibilità che è sempre esistita, ma costava in media qualche centinaio di migliaia di dollari) è esploso fino a portare il prezzo complessivo del transito, incluse tutte le voci, a 3️⃣ milioni di dollari (o di euro, visto che le due valute in questo momento sono in rapporto di cambio 1️⃣ a 1️⃣).
Per merci di alto valore unitario – elettronica di consumo – le navi stanno pagando, anche se a denti stretti: per le altre merci, bestemmie e file d’attesa.
La causa?
È nota: le piogge su Panama si sono rarefatte e non c’è abbastanza acqua per alimentare le vasche (su più livelli) che permettono il transito delle navi. Poi comunque, c’è anche la volontà di trarre il maggior beneficio dal problema; è legge naturale, sempre esistita.
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Per 👤 Stefano Messina, presidente di Assarmatori 🗣️ “Quanto sta accadendo nel Canale di Panama – ha dichiarato in una recente intervista a ”Shipping Magazine” – conferma ancora una volta la centralità del trasporto marittimo negli interscambi commerciali di tutto il globo. Una macchina ben rodata, che garantisce servizi efficienti e regolari, la cui importanza strategica emerge in modo evidente solo quando si rompe questa catena”. “I riflessi per l’Italia e i suoi commerci – dice ancora Messina – sono, allo stato attuale delle cose piuttosto limitati, considerato che si tratta di un’infrastruttura essenziale soprattutto per il mercato americano, e degli Usa in particolare, visto che da qui passa il 40% del traffico container degli Usa, e per quello asiatico, con specifico riguardo a Corea del Sud, Giappone e aree limitrofe. Nel 2022 sono transitate oltre 14 mila navi”.
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Insegnamenti al mondo della produzione, che è alla base dello shipping? Secondo Messina 🗣️ “Quando si verificano fatti simili si parla di tendenza al reshoring o al nearshoring, cioè a spostare i luoghi di produzione più vicino ai mercato di sbocco finale. Le rotture della catena – conclude il presidente di Assarmatori – rappresentano però ancora episodi isolati e che solitamente si risolvono in un lasso di tempo non eccessivo”.
Occhi aperti però: anche Suez può essere un anello debole.