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Questi tempi delle troppe non scelte

Qualche nota sulle risposte al documento degli imprenditori

LIVORNO – Può anche darsi che sia un bene; anzi, quasi certamente lo è. Ma che poi in una città che dovrebbe “respirare” porto, domande e risposte sulle urgenze delle banchine debbano venire in un’associazione volontaria come il Propeller’s – quello che nell’ottocento fu definito dai fondatori un club di gentiluomini – appare abbastanza sintomatico dello strappo tra città reale e città delle istituzioni. Che di porto sembra non vogliano nemmeno sentir parlare, salvo esservi tirate per la giacchetta.

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Me lo sono chiesto l’altra sera, proprio al Propeller’s livornese, quando il neo-presidente comandante Fiorenzo Milani ha introdotto l’intervento del presidente dell’Authority Giuliano Gallanti replicando le famose domande della lettera di tutti gli imprenditori, inviata allo stesso Gallanti e alle principali autorità cittadine senza averne mai una risposta. Domande concrete su temi concreti: cioè su quelli che rappresentano una spina nel cuore a chiunque viva di porto; specialmente a chi di porto rischia oggi di morire.

Sia Gallanti sia il sindaco Sandro Cosimi, entrambi chiamati direttamente in causa l’altra sera, sono uomini navigati, capaci di sostenere non solo un contraddittorio ma anche uno scontro dialettico. L’uno è più ruvido ma anche troppo chiaro nelle sue idee – che siano giuste o sbagliate – l’altro ha fatto della dialettica pura una delle sue armi più affilate. Ma che a volte sembra limitarsi al bel parlare, con forbite parole.

Torneremo a riferire, nei tempi che ci sono concessi dalla tipografia, della sostanza degli interventi. Telegraficamente, si può dire che agli interrogativi della lettera di Milani – e di buona parte degli imprenditori del porto – sono state date risposte solo parzialmente soddisfacenti. Tali da non lasciare certo i cuori dei presenti aperti a rosee speranze di una rapida uscita dalla crisi labronica dei traffici e anche delle idee.

Intendiamoci, nessuno chiede miracoli. E quando Gallanti ripete – come va facendo da qualche tempo in ogni occasione – che il marcio è fondamentalmente nelle leggi, per la pletora di burocrazia imposta dalla 84/94, non ha certo torto: ma scopre quello che i livornesi chiamano “il bu’o alla ‘honca”, cioè un male noto. E che altri, come lui ammette, devono curare. C’è invece da dubitare che una delle ricette per risolvere i mali specifici di Livorno sia quella di mettere insieme, in un impossibile “volemoce bene” terminalisti dello stesso comparto che si fanno spietata (e a volte troppo spietata) concorrenza sugli stessi comparti. Come gli ha detto, con estrema chiarezza, anche Piero Neri, che pure usa centellinare le parole.

Certo sarebbe meglio che tutti andassero a cercarsi traffici anche fuori dal porto, invece di contendersi a colpi di ribassi quelli che già ci sono: ma non è che fuori ci sia terra vergine di conquista, anzi spesso siamo a rischio che vengano gli altri a farci fuori i nostri. E’ già successo (vedi i sardi a Marina di Carrara, vedi gli israeliani migrati a Genova dopo mezzo secolo, vedi il timore per la Dole, eccetera) e non per scarso impegno dei livornesi o per la concorrenza interna che Gallanti non ama: ma perché il nostro è l’unico grande porto dove non si entra né si esce di notte; dove abbiamo accettato per decenni (e ad oggi ancora accettiamo, sia pure a scadenza come da promesse) che i fanghi dello Scolmatore si scaricassero nel bacino del terminal container; dove a distanza di anni dal boom ormai riconosciuto delle crociere chi comanda non ha ancora deciso dove e come dedicare loro un vero terminal e delle banchine proprietarie. L’altra sera nessuno l’ha ricordato, ma avrei voluto dirlo io: abbiamo ancor oggi, per i traghetti passeggeri e anche per le crociere, una stazione marittima “inventata” da un certo Franco Cecchetti allora presidente dell’Azienda Mezzi Meccanici (diventata poi Autorità Portuale con Nereo Marcucci) tra gli sghignazzi o almeno le ironie generali. La successiva grande “stazione crociere” è nata morta, nel punto sbagliato, e vivacchia per gli uffici affittati, ma non certo con il grasso che cola. Per il resto, siamo ancora alle baruffe. Eccetera eccetera. E ai piani regolatori annunciati, promessi, ripromessi, da anni giurati per il mese dopo.

Cicerone, che pure era solito sfoggiare eloquenza Pro domo sua, anche oggi esploderebbe: Usque tandem, Catilina? E scusatemi quello che certi ignoranti chiamano “il latinorum”. In vecchiaia abbiamo altre debolezze di quelle che da giovani potevamo permetterci. Ma abbiamo anche sempre meno pazienza: e meno tempo per aspettare soluzioni sempre rimandate.

Antonio Fulvi

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Pubblicato il
19 Ottobre 2011

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