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Dalla Cina con amore e scetticismo

ROMA – Dalla Cina al Giappone, il premier Mario Monti ci ha dato l’impressione di un novello Marco Polo: alla ricerca del commercio perduto, ma più che altro a caccia di meraviglie, nella fattispecie investimenti in Italia. E i nostri giornali, più o meno in ginocchio davanti a ogni “miracolo annunciato” del governo tecnico, hanno chiosato osannanti che sia i cinesi che i giapponesi hanno promesso di investire in Italia.


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Non siamo certo noi, dal nostro modesto osservatorio, a poter dare giudizi. Però sappiamo (ancora) leggere. E Hu Jintao, parlando con Monti a Seoul, è stato chiarissimo nel sottolineare che i cinesi sono interessati in particolare a investire nelle infrastrutture italiane, se però l’Italia presenta progetti chiari, e specialmente tempi chiari di realizzazione. Altrimenti, i “pragmatici cinesi” (come ha scritto in un reportage da Pechino Il Sole-24 Ore) non si fidano più, specie dopo i sostanziali fallimenti degli interventi finanziari (notevoli, tra l’altro) della Hutchison Whampoa a Taranto.

Ancora: i cinesi sarebbero pronti a investire “nuovamente a Taranto o anche a Gioia Tauro: ma con la certezza di quello che vanno a comprare”. Una certezza che malgrado tutto ancora non c’è e che il governo tecnico italiano non è stato ancora in grado di offrire. Sempre dal reportage del giornale della Confindustria: “Gli attori cinesi degli acquisti nei porti possono essere ad oggi grandi compagnie di trasporto come la Cosco, che è già entrata nel porto di Napoli, ma anche singoli porti come Ningbo o Tianjin” che cercano una sponda privilegiata per i loro traffici nel sud Italia; e che puntano intelligentemente ad accorciare le rotte con il sud Europa attraverso Suez “facendo rinascere la centralità nel Mediterraneo” che oggi si è persa per l’indubbio dinamismo dei porti atlantici del Nord Europa.

In sostanza: neanche per la Cina sono più tempi di crescita a doppia cifra, e l’enorme liquidità del paese va gestita con crescente attenzione; tanto che la stessa Construction Bank of China, una delle più attive all’estero, comincia a tirare i remi in barca in attesa dei segnali politici che le indichino dove rivolgersi.

L’Italia si è fatta avanti con Monti, come anni fa fece con Prodi (e con un gran buco nell’acqua). Ma ai cinesi occorrono – come già detto – tempi certi, regole chiare e specialmente decisioni che non debbano poi passare attraverso le  mille forche caudine dei “niet” localistici. La domanda è: siamo davvero in grado, oggi, di garantire quanto ci viene richiesto?

A.F.

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Pubblicato il
4 Aprile 2012

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