Le mega-full container s’interrogano su un prossimo futuro ancora difficile
Secondo alcuni analisti le costruzioni in corso potrebbero almeno in parte essere rallentate – Va malissimo anche il “dry bulk” mentre le petroliere hanno avuto un anno d’oro
LONDRA – Con i noli dei containers che sono ancora, malgrado le oscillazioni, in profondo rosso, lo shipping e in particolare la finanza legata allo shipping s’interrogano sul prossimo futuro. Ma la conclusione generale sembra essere quella degli analisti più sinceri e disinibiti: ci vorrebbe la sfera di cristallo. E il gigantismo navale non sembra aiutare nelle economie di scala come quando il costo del fuel era molto alto. Sia perché l’incidenza del fuel sui costi generali è molto calata, sia perché le mega-navi difficilmente fanno il pieno di teu mentre hanno altissimi costi di assicurazione, spese portuali, manutenzione ed altro.
[hidepost]Partiamo dai dati di fatto: Dynalinerd ha fatto il conto delle navi sopra i 18 mila teu in ordine o già in costruzione: ce ne sarebbero una settantina, che si andranno presto ad aggiungere alle circa 40 operative. Siamo, se non vogliamo togliere dal conteggio quelle che secondo alcuni report sono state temporaneamente “messe in naftalina” per carenza di traffico, intorno a 110 unità. Chi si è più sbilanciato negli ordini ed ha più mega-fullcontainers in costruzione è Maersk (31 navi secondo quanto riportato anche dall’Avvisatore Marittimo di Genova). Seguono i cinesi del merger China Lines con 22 navi, tallonati da Msc con 20 navi. L’impressione generale degli analisti è che se i grandi armatori potessero, probabilmente fermerebbero alcuni dei giganti in costruzione, o almeno ne rallenterebbero l’avanzamento. Ma a loro volta i cantieri devono far cassa e corrono. E’ una situazione per molti versi simile a quella che si verificò anni fa con la corsa alle mega-petroliere, finite poi in gran parte a marcire nelle rade del Far East. Solo che per i containers tutti sperano nella ripresa del commercio mondiale, in una Cina che ricominci a tirare ed esportare, in un’Europa che esca dal decennio di crisi dei consumi, in un’America che torni ad essere motore economico.
L’alternativa? Non siamo all’estremo illustrato dalla foto in prima pagina, con il container trasportato dalla povera barchetta di legno (“logistica alternativa” hanno spiritosamente intitolato l’immagine), ma è indubbio che mentre i principali terminal mondiali stanno facendo sforzi economici giganteschi per adeguarsi alle 20 mila teu (e più) gli armatori e i loro finanziatori (fondi d’investimento, grandi banche, private equities, eccetera) stanno frenando. E chi ha puntato su terminal adatti a navi fino a 14/16 mila teu alla fine si dovrebbe sentire più sicuro di chi sta spendendo entrambi gli occhi della testa per le giga-navi.
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In questo quadro generale, non se la passano bene nemmeno le navi cargo, i cui ordini erano tornati ad impennarsi negli anni passati. Secondo Burke&Novi (brokeraggi internazionali) almeno 40 milioni di tonnellate di portata di nuove costruzioni per carichi secchi potrebbero essere cancellate dagli ordini in questo 2016, proprio per la crisi del dry bulk. L’eccesso di stiva che si è generato sull’illusione delle grandi esigenze della Cina sta producendo anche un effetto riflesso: i cantieri, pur di consegnare, stanno abbassando i prezzi delle costruzioni. E le previsioni sempre per i cantieri – specie del Far East – sono disastrose: contro i 104 milioni di tonnellate ordinati nel 2015 si passerebbe a soli 40 milioni di tonnellate di nuove costruzioni. Si salvano – per ora – i cantieri specializzati in grandi navi da crociera, ma sono una nicchia. E anche quelli che hanno visto nel 2015 un eccellente mercato delle petroliere, cominciano a preoccuparsi perché malgrado la ripresa della produzione e della vendita del greggio iraniano siamo di nuovo a un forte eccesso d’offerta di stiva.
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