Il “Titanic” e le tragedie del mare

Nelle foto: Il Titanic in affondamento e in basso l’Andrea Doria capovolta.

LIVORNO – Forse chi ipotizza coincidenze legate agli astri o alla cabala è soltanto un superstizioso. Ma non si può ignorare che due dei più tragici sinistri marittimi dei nostri tempi, l’affondamento dell’inglese “Titanic” e il rogo del “Moby Prince”, sono avvenuti a metà d’aprile. Esattamente il 14 aprile 1912 per il transatlantico inglese e il 10 aprile del 1991 per il traghetto italiano.

I 140 morti del traghetto, la più grande catastrofe della marineria italiana non in tempi di guerra, ricordata a Livorno la settimana scorsa, sono solo una frazione di quelli del “Titanic”: furono 1490, tra i quali una quarantina di camerieri italiani. Morì sul “Titanic” anche il celebre magnate Solomon Guggenheim, che preferì affidare al segretario una lettera per la moglie, mandare l’uomo sulla lancia di salvataggio al posto suo, e sedersi a fumare il sigaro mentre la nave affondava. Gli scampati, soccorsi dal “Carpatia” che era accorso all’SOS, furono 711.

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Anche lo speronamento dell’“Andrea Doria”, che fu affondato dallo “Stockholm” al largo di Nantucket nel 1956 (questa volta a luglio) costò la vita a 51 persone su 1706 passeggeri: una strage evitata per la prontezza con cui furono utilizzate lance e zattere di salvataggio e per il soccorso del transatlantico francese “Ile de France”. Tra i miracoli, quello di una ragazzina americana di 14 anni che dormiva nella sua cabina della “Doria” e si svegliò, sempre nel suo letto, sopra la prua fracassata della “Stockholm”. Sua sorella maggiore, che dormiva a due metri da lei, fu invece uccisa da quella stessa prua. Morì anche una povera bimbetta di 4 anni, gettata in mare dal padre terrorizzato nella speranza che fosse raccolta da una lancia lì vicina: la piccola cadde proprio sulla lancia rompendosi il cranio.

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Più vicino a noi, nel settembre scorso, almeno 200 migranti dalle coste del Nord Africa sono morti in naufragi dei loro precari gommoni condotti da scafisti senza scrupoli. Una strage silenziosa che continua malgrado le tante dichiarazioni. E che fu preceduta, nel 1997, dall’affondamento di un barcone con 120 albanesi in fuga dalla guerra civile verso la Puglia. La corvetta italiana “Sibilla”, che cercava di bloccarne la navigazione, sbagliò manovra, speronò e affondò il barcone. Morirono in 102 su 120 a bordo, tra cui numerosi bambini. Una ventina di corpi non furono mai trovati.

Il mare dunque può essere crudele, sebbene sia quasi sempre colpa della mano dell’uomo. Non solo in guerra ma anche e specialmente in pace.

A.F.

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