Mediterraneo, sempre più meduse

ISOLA D’ELBA – Tempi di meduse, questi fastidiosi ma anche spesso innocui e spettacolari organismi marini che d’estate invadono con le correnti alcune delle nostre aree costiere. Recenti dati del CNR confermano che gli avvistamenti di meduse nel Mediterraneo sono decuplicati negli ultimi dieci anni. È un fenomeno che riguarda solo alcune zone del pianeta, tra cui i nostri mari: “L’analisi di metadati, su scala globale, ha permesso di stabilire che in altre zone del mondo le popolazioni di meduse sono stabili o sono addirittura diminuite. Nel Mediterraneo, invece, alcune specie hanno aumentato la propria densità”, spiega Mar Bosch-Belmar, biologa marina dell’Università del Salento. Quasi certamente è dovuto anche alla diminuzione dei loro predatori, come delfini e tartarughe. Se non sono predate o sbattute sulle spiagge, le meduse sono organismi considerati immortali.

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Le specie più abbondanti nel Mediterraneo sono la  medusa luminosa (Pelagia noctiluca), che predilige le acque del Tirreno, il polmone di mare (Rhizostoma pulmo), più facilmente avvistabile nell’Adriatico e nello Ionio, la medusa tubercolata (Cotylorhiza tubercolata) e la Velella velella (un piccolo idrozoo che spesso si trova spiaggiato dopo le tempeste) soprannominata la “barchetta di San Pietro” a causa di una  cresta di forma triangolare simile ad una vela, che le permette di muoversi sulla superficie dell’acqua tramite la spinta del vento. La Velella è in realtà una colonia formata da un individuo medusoide modificato che fa da vela e capta il vento per spostarsi mentre al di sotto del disco ci sono numerosi individui polipoidi che si occupano dell’alimentazione e della riproduzione. Capita di avvistare nei nostri mari anche la caravella portoghese (Physalia physalis); scambiata per una medusa è in realtà un sifonoforo, cioè una colonia di più organismi dipendenti l’uno dall’altro. Molto velenosa, rilascia tossine che possono causare nell’uomo forti dolori e anche l’arresto cardiaco. Niente a che vedere con certe muse del Pacifico, alcune delle quali con filamenti lunghi qualche metro, pericolosissime per l’uomo e spesso fatali: tanto che alle più frequentate spiagge australiane i bagnanti vengono protetti con reti più contro di loro che contro gli squali.

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