Ecco la nuova Strada “dei Re Magi”

HAIFA – Logistica e versatilità, sono strettamente interdipendenti se la prima deve funzionare al meglio. Così la guerra in atto in Medio Oriente, con il blocco virtuale delle navi portacontainer e delle gasiere attraverso lo stretto Bab el-Mandeb del Mar Rosso, sta sviluppando rotte alternative: una delle quali è l’ormai noto periplo dell’Africa. Però per Israele e in genere per il Mediterraneo Orientale è una sciagura: come costi e come tempi. Così l’israeliana Trucknet Enterprise s’è inventata una rotta terrestre, già operativa con colonne di Tir che dai porti dell’Oceano Indiano del Barhain e del Qatar passa nel deserto centrale dell’Arabia Saudita per sboccare attraverso la Giordania in Mediterraneo e servire sia i porti israeliani che egiziani, dai quali le merci poi possono proseguire verso Gracia, Italia, Francia e Spagna via mare.

Non si tratta di una soluzione ad alta potenzialità come le rotte marittime, perché per portare 5 mila Teu occorrono altrettanti Tiro (almeno la metà se c’è il rimorchio): però i componenti più urgenti e preziosi, come microchip, metri rari, elettronica di base ed altro, possono arrivare prima e in buone quantità. Se quella che è stata battezzata scherzosamente “La rotta dei Re Magi” dovesse essere ulteriormente potenziata – c’è chi teme attacchi anche nel deserto, e infatti le carovane dei Tir hanno scorta armata – qualche effetto potrebbe esserci anche per l’Italia.

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Intanto c’è chi sottolinea che una delle caratteristiche del conflitto in atto in Medio Oriente sono le contraddizioni e gli interrogativi senza risposta. A quelli relativi alla “sorpresa” dell’attacco di Hamas del 7 di ottobre, si somma ora quello relativo alla imprevedibilità dell’offensiva dei ribelli Houthi nello Yemen. Attacchi altamente prevedibili se si considera che nel 2015 i ribelli Houthi occuparono l’isola di Permin, nel bel mezzo dello stretto di Bab el-Mandeb (largo solo 18 miglia), e prima di esserne scacciati dall’Arabia Saudita, sequestrarono una nave petroliera dichiarando la loro sovranità yemenita sullo stretto di Bab el Mandeb. Oggi l’isola è diventata una base militare e aerea avanzata per le forze anti-Houthi.

Secondo il monitoraggio che il “Centro Giuseppe Bono” sta svolgendo, i rischi derivanti dal blocco della quarta via marittima più trafficata al mondo si sono focalizzati sul flusso specie dei dei container attraverso il Mar Rosso e quindi il Canale di Suez; quasi una prova generale che potrebbe far pronosticare attacchi anche alle pipelines e alle infrastrutture sottomarine.

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Una più attenta valutazione di quanto sta accadendo nel Mar Rosso – riferisce il monitoraggio – evidenzia sul fronte energia due elementi determinanti: se si eccettua il caso di una petroliera norvegese, il traffico di petrolio nel Mar Rosso sembra godere di una sorta di lasciapassare da parte degli Houthi. E molti analisti mediorientali pensano che ciò possa riflettere l’intenzione dell’Iran di evitare un’escalation del conflitto inevitabile se fosse colpito il traffico petrolifero (un quarto del traffico mondiale transita attraverso Bab el Mandeb). Non solo. Per il petrolio iraniano di alta qualità, il beneficio di un comunque inevitabile aumento delle quotazioni (non fosse altro per i premi assicurativi rischio guerra) sta rappresentando un vantaggio concreto specie per quanto riguarda l’export verso la Cina.

Non è un caso quindi, se il numero medio delle navi petroliere in transito nella zona a rischio missili e droni, è praticamente immutato rispetto alle medie del 2023, ma anche che le uniche navi cisterna dirottate sulla rotta della circumnavigazione dell’Africa siano tutte operate direttamente o indirettamente da interessi americani o israeliani.

Sempre secondo i risultati dell’analisi del Centro Giuseppe Bono mentre il milione di barili di greggio in transito nell’area a rischio non dovrebbe subire eccessivo impatto dalle azioni dei ribelli Houthi, ben diverso sembra essere il crash sul traffico di gas, in particolare quello del Qatar ma anche sull’oleodotto transarabico sino al porto di Yanbu sul Mar Rosso. Traffico considerato da numerose “intelligence” ad alto rischio. E non è un caso che anche il gasdotto fra Egitto e Israele, abbia cessato di operare e quindi di garantire forniture all’Egitto già a poche ore dall’avvio dell’operazione Gaza. Idem per l’oleodotto fra Eilat sul Mar Rosso e Ashdod, sulla costa mediterranea di Israele. Oleodotto che (per ironia della storia) fu costruito da una joint venture israelo-iraniana prima dell’avvento al potere dell’Ayatollah Khomeini.

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