LIVORNO – Tre parole alla base del triangolo del business della nuova logistica: la quale nuova logistica è la conseguenza non solo dei processi produttivi nel mondo e dei loro cambiamenti, ma anche del fenomeno ormai consolidato della carenza di contenitori e della concentrazione dei vettori. Tre parole: conoscenza dei meccanismi della logistica mondiale, relazioni internazionali, prontezza di riflessi per offrire per primi servizi garantiti.
Ce ne parla, in una nostra intervista, Andrea Monti di Sogese la società che opera dall’interporto/retroporto Vespucci, ma che ormai ha raggiunto un livello di globalizzazione assoluto.
Vi siete trasformati in pochi anni, da specialisti della trasformazione dei contenitori in un “service” altamente internazionale per sopperire ai numerosi “vuoti” creati dal new deal post-pandemia…
“Anche il mondo della logistica ha subito cambiamenti epocali, il tutto partendo dalla carenza di contenitori vuoti di cui si è già molto scritto. Noi ci siamo organizzati in modo altamente flessibile per aiutare gli spedizionieri a trovare il container in tempi coerenti con l’esigenza del carico, farlo imbarcare e restituirlo a destino in un ciclo che garantisce il transito della merce e la circolazione dei container al tempo stesso. È un lavoro di relazioni internazionali, ma anche di conoscenza specifica di norme, consuetudini e opportunità in paesi dove maggiore si concentra oggi la produzione e il trading.”
Sembra di capire che oggi la carenza di vuoti stia generando nuove metodologie di trasporto via mare e non solo. Eppure costruire scatoloni non dovrebbe essere difficile…
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“Non è semplice come può sembrare: ci sono normative precise, e il tutto va certificato, con tempi tutt’altro che brevi. La vera sfida è reperire vuoti nelle aree di maggiore disponibilità e garantire il riposizionamento nell’immediato a favore di zone colpite da maggiore carenza di asset. È il nostro business: che detto così sembra semplice…”
Ma non lo è affatto, e lo si comprende bene. Vi muovete in un mondo fluido, dove i “cacciatori” sono tanti e le prede (container e utilizzatori) molto contese. L’essere nel retroporto livornese aiuta?
“Non molto, dal punto di vista della disponibilità di vuoti. Il porto si sta concentrando sui traffici con il nord America, dove sono i grandi player a operare con le loro regole e i loro container: dove invece era più facile inserirsi nella parte di nostra competenza, sui traffici con il sud Mediterraneo, il Middle e il Far East, le tensioni internazionali e spesso le guerre locali hanno reso tutto più difficile. Un tempo c’era un grande business nel trasporto dei materiali edili per la ricostruzione di paesi devastati o per l’industrializzazione delle economia emergenti e migliaia di container first trip venivano utilizzati per sostenere l’evoluzione di questi Paesi. Oggi molto di questo lavoro è rallentato. Ciò malgrado possiamo comunque offrire il nostro servizio con una estensione più ampia e con una presenza a livello globale, ma con un impegno continuo e articolato proprio grazie alle relazioni, ai i nostri uffici delocalizzati e con una organizzazione che permette risposte a problemi in tempi brevissimi”.
In pratica vi sostituite alle compagnie di navigazione nella messa a disposizione del contenitore, garantendo allo spedizioniere quella disponibilità che i grandi player marittimi non offrono o offrono a prezzi altissimi..
“Si può semplificare così, anche se l’articolazione è molto più complessa. Il gigantismo navale tra l’altro ha concentrato gli scali in solo pochi porti, lasciando scoperti quelli intermedi sui quali aiutiamo a lavorare, fornendo container, su navi minori noleggiate da consorzi temporanei di spedizionieri. Il nostro moto è muoverci just in time. Ed è la sintesi di come sarà sempre più il mondo della logistica”.
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