Giornalisti, vil razza dannata…
Ci scrive, scherzando ma nemmeno troppo, un giovane lettore di Piombino Luca Chiesi:
Leggo volentieri, nell’ufficio di mio zio spedizioniere, la vostra pagina dei lettori. Ma proprio con mio zio abbiamo avuto una discussione sui giornalisti. O meglio, sul mestiere di giornalista. A me piacerebbe indirizzarmici, ma zio sostiene che ormai i giornali sono destinati a scomparire, buttati fuori mercato da internet, e i giornalisti sono impiegati da scrivania, “culi di pietra” come dice lui, il cui mestiere non è molto diverso da quello degli impiegati del Comune o del Catasto. Che abbia ragione lui?
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Rispondere a questo giovane lettore ci pone di fronte a un esame di coscienza: in particolare a trovare la giusta dimensione tra l’amarezza di vecchi giornalisti – che hanno conosciuto il mestiere mandati orgogliosamente in giro per il mondo e oggi sono invece inchiodati a un computer come un qualsiasi travet – e il dovere di aiutare un ragazzo a realizzare il proprio sogno.
In sintesi: lo zio ha ragione nel sostenere che il mestiere di giornalista è cambiato molto, e si è “spalmato” su tanto lavoro di scrivania; lo zio ha torto nel ritenere che il mestiere sia morto, solo perché c’è il web a dare notizie e a fare lo storytelling di ogni fatto. Il mestiere di giornalista – qualcuno lo nobilita fino a chiamarlo professione – può essere frustrante, mortificante o anche esaltante, a seconda della posizioni, della fortuna e specialmente delle proprie capacità di comunicare non solo i fatti ma anche le emozioni che ne derivano. Insomma, facendo un esempio ben noto: con le solite sette note si possono creare sublimi armonie o terribili stridori. La gavetta? È sempre durissima, come per tante altre professioni: ma chi sfonda troverà sempre la soddisfazione di essere rispettato e letto. Purché non si venda: che in questo mestiere, tanto legato a come si danno e si interpretano le notizie e a quanto pubblicità se ne ricava per il proprio giornale, è la cosa più difficile del mondo.
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