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Con l’Era Trump le tante paure e qualche speranza

LIVORNO – Difficile resistere alla tentazione di interrogarsi, anche da questo angolo di periferia che non ha certo la presunzione di fare analisi originali, su cosa ci porterà il Donald Trump presidente degli Usa. Non dimentico il Sutor, ne supra crepidam (Calzolaio, non oltre la scarpa) raccontato da Plinio.
[hidepost]Ma si da il caso che il porto di Livorno sia per antica storia uno degli scali privilegiati nelle rotte containers (e non solo) con gli Usa. E che il neo-presidente americano abbia fatto una campagna elettorale all’insegna del protezionismo e dell’anti-globalizzazione, dichiarandosi fortemente contrario a tutti i trattati di libero commercio fino ad oggi spinti dall’amministrazione Obama.
Certo che la Cina, la stessa Corea, Taiwan e le nuove economie del Far East (Vietnam eccetera) avranno probabilmente scossoni peggiori di quello che toccherà a noi. Ma è all’intera Europa che Trump si è rivolto quando ha detto, papale papale, che deve imparare a difendersi da sola, sia sul piano economico che su quello militare. Penso a Camp Darby, la base logistica dell’Usaf alle porte delle nostre banchine. Penso alla grande base navale Usa a Napoli, con migliaia di posti di lavoro dell’indotto. Penso ai traffici, al trattato TTIP (Transatlantic Trade & Investiments Partnership) che Obama e Clinton hanno spinto con fatica e che oggi rischia una frenata brutale, se Trump manterrà la promessa di una politica che spinge alla reindustrializzazione dell’America tagliando l’enorme flusso di importazioni sia dall’area del Pacifico che dall’Europa. C’è quanto basta per preoccuparsi, anche da questo piccolo angolo di mondo che un tempo fu il primo porto del Mediterraneo proprio con gli Usa.
Tutto ciò premesso, non fasciamoci la testa prima di averla rotta. Da più parti ci ricordano che una cosa sono le promesse elettorali (e noi in Italia ne sappiamo qualcosa) altra sono poi il loro realizzarle. Il bicchiere mezzo pieno è il richiamo che ne esce all’Europa di smetterla di ragionare come ai tempi dei Comuni e di diventare un’entità davvero supernazionale, con una vera politica europea nella finanza, nei trasporti, nelle tasse e nella difesa. C’è un altro piccolo spiraglio di speranza: la normalizzazione dei rapporti con la Russia di Putin può aprirci di nuovo un export che a tutto oggi ci è costato lacrime e sangue. Purchè i nostri governanti capiscano che i tempi dei rinvii sine die delle scelte sulle riforme (porti e logistica per primi) vanno chiusi. E che il mondo corre, corre veloce, senza aspettarci.
(Ah, dimenticavo. Chiedo scusa ai miei quattro lettori per la presunzione di aver provato a scrivere Supra crepidam).
Antonio Fulvi

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Pubblicato il
12 Novembre 2016

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