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Lavori portuali, tecnologie d’oggi e problematiche reali

Nella foto: Il primo cassone della grande diga di Genova.

LIVORNO – Le neverending stories dei lavori portuali non riguardano solo la Darsena Europa labronica.

Un po’ in tutta Italia, le imprese che vincono le gare – quando le gare ci  sono: ed è già un buon punto di arrivo – affrontano  problemi più giuridico/burocratici che tecnici. Però da  qualche parte si corre. Per fortuna, forse anche perché ci sono più…santi in paradiso!

Ecco l’intervista a un tecnico di Fincosit, azienda impegnatissima ai massimi livelli sui porti, che preferisce parlare a nome del gruppo.

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I porti italiani sono in gran parte “storici”, cioè, nati a corredo delle città e spesso da queste limitati via terra. Le soluzioni migliori per essere adeguati ai traffici marittimi sembrano dunque l’espansione a mare. Ciò premesso, in quali porti attualmente il gruppo Fincosit & C. sta lavorando?

“Attualmente Fincosit è attiva a Genova, Vado Ligure, La Spezia, Livorno, Civitavecchia, Napoli, Gioia Tauro (appena conclusa), Catania, Palermo, Termini Imerese (appena conclusa) Taranto, Bari, Brindisi, Manfredonia, Ravenna.

Sia per le opere portuali (banchine, piazzali etc) sia per le dighe di protezione, il sistema dei cassoni da affondare sembra prevalente. Fino a quali profondità (specie per le dighe) oggi si può operare: e comunque é economicamente possibile operare?

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“La tecnologia di diga a parete verticale sta progressivamente spostando i propri limiti verso fondali sempre più sfidanti, basti pensare che la diga di Genova viene costruita in specchi di mare dove la batimetrica del fondale esistente arriva a 50 m di profondità con cassoni alti fino quasi a 34 metri. Ovviamente il costo di tali opere è possibile quando l’ingente investimento conseguente viene sostenuto in termini di potenzialità ed incremento di traffico del porto che si va a proteggere. Comunque, il linea generale sono diversi i porti in cui attualmente le nuove opere foranee vengono previste con cassoni mediamente alti 26 metri, certamente maggiore di qualche decennio fa. Il motivo va ricercato ovviamente nell’aspetto economico: più si riesce ad alzare il cassone più si risparmiano, anche in ottica ambientale, i materiali lapidei necessari per costruire lo scanno di imbasamento degli stessi cassoni”.

Il sistema legislativo nazionale, con responsabilità e competenze spesso incrociate (o addirittura contrastanti) tra ministero e ministero, quali difficoltà comporta per mantenere la velocità operativa delle opere che la tecnologia consentirebbe?

“È certamente un punto critico nello sviluppo celere di alcuni lavori, dovuto in verità a più fattori: carenze progettuali legate al livello di progettazione messo in gara dalle amministrazioni (Preliminare, Definitivo o Esecutivo), normative ed ottemperanze in alcuni ambiti (soprattutto quello ambientale), normative non armonizzate, spesso pensate prevalentemente per i lavori infrastrutturali terrestri e che quindi necessitano di interpretazione e spesso di più livelli autorizzativi che partano dal Ministero e arrivano fino alle amministrazioni locali. A tutto ciò si aggiunge l’aspetto burocratico: infatti spesso la pubblica amministrazione, dove pure ci sono ottimi tecnici, non riesce ad evadere le richieste in tempi celeri”.

Uno dei problemi, secondo quanto registriamo da giornale di settore, rimane per i lavori portuali il dragaggio dei siti: non tanto sul piano tecnico, a quanto ci dicono, ma su quello del conferimento del materiale d’escavo. È una caratteristica tutta italiana o succede lo stesso nei lavori anche in altri paesi?

“Molte delle normative che applichiamo in Italia sono emanazione di Direttive Europee che poi vengono recepite nell’ambito del proprio ordinamento dagli stati membri. Osservo al riguardo che, partendo grossomodo dalla stessa base normativa, nei Paesi Bassi in cui quello dei dragaggi è un problema serio, i lavori di questo specifico settore sono sicuramente più veloci, quindi a volte forse bisognerebbe chiedersi se la differenza è come le norme si interpretano e si complicano nel passaggio UE-Stato Membro”.

La diga di Genova sta diventando un esempio positivo di velocità delle operazioni, malgrado le tensioni politiche nelle istituzioni locali. Quanto sarà lunga, quanto profonda al massimo e quando sarà realizzata in toto secondo i vostri programmi?

“Il progetto della diga di Genova prevede due fasi di intervento, la Fase A che è quella attualmente in corso ha uno sviluppo di circa 4000 metri, rispetto ai circa 6000 metri dello sviluppo complessivo.
La parte mancante denominata fase B sarà regolata da altro appalto. La massima profondità dei fondali su cui è in corso l’esecuzione della nuova diga è di 50 metri o poco più. La fase A deve essere completata entro la fine del 2026.”

A.F.

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Pubblicato il
8 Giugno 2024

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