Il tornado ANAC sui porti

ROMA – Il caso D’Agostino non si è chiuso con la “detronizzazione” del presidente dell’AdSP di Trieste. Anzi, ha spalancato il vaso di Pandora che da tempo caratterizza i rapporti tra gli enti di sistema portuale, l’intero sistema dei sistemi e i vari organismi di controllo. Un tornado devastante, anche nell’immagine della portualità nazionale.

Tra questi è l’ANAC (Autorità Nazionale Anti Corruzione) che ha colpito duro più volte, avvalendosi delle prerogative che la legge istitutiva le ha dato. Niente da obiettare sul piano della legittimità giuridica: e probabilmente anche sull’accuratezza con cui l’Autorità effettua le sue indagini, quasi sempre attivate da segnalazioni di altri rami istituzionali ma anche di privati. Ci sarebbe semmai da lamentare i tempi spesso lunghi – se non lunghissimi – con i quali si arriva a decidere: figli anch’essi, i tempi, di un sistema burocratico che non aiuta e che non fornisce a sua volta strumenti per velocizzare.

Non si può ignorare tuttavia che gli interventi dell’ANAC hanno più d’una volta provocato sconquassi tali da incidere profondamente sui tempi e modi dell’operatività del sistema Italia. Il caso D’Agostino oggi è paradigmatico: tanto più che il commissario governativo subito nominato a coprire il “buco” lasciato dal presidente, il suo segretario generale di fiducia, si è affrettato a deliberare l’istantanea conferma di tutti gli atti di D’Agostino. Il che alla fine può apparire – almeno a chi come noi mastica poco di complicanze burocratico legali – una contraddizione in termini e nello stesso tempo una bacchettata all’ANAC e a chi (la Guardia di Finanza?) aveva avviato l’indagine conclusa come sappiamo. La pioggia di attestati di solidarietà piovuta su D’Agostino (dal governo agli utenti, da Assoporti al cluster marittimo) la dice lo stesso lunga. E più lunga ancora lo dice la recente dichiarazione del presidente dell’ANAC professor Francesco Merloni, che è succeduto al magistrato professor Cantone: con le attuali normative l’ANAC non può non intervenire anche se si rende conto che la legge andrebbe affinata. Così almeno è stato riferito dopo il tornado che ha spazzato via (almeno per adesso) Zeno D’Agostino. Il quale ovviamente ha già preannunciato ricorso, supportato dall’intera AdSP e da Assoporti. Sarà un’altra “neverending story” della tormentata storia giudiziaria dei nostri poveri porti? Il team dei legali del presidente sospeso ha anche appellato al TAR, ma in ogni caso si dovrà passare l’estate. E in tempi come questi, non può che prevalere l’amarezza dell’incertezza.

Per non considerare infine che il vaso di Pandora, per quanto riguarda Trieste – ma non solo – ha ovviamente “sparato” fuori tutta una serie di veleni, compresi quelli apparsi su alcuni siti anche stranieri di un presunto verminaio di corruzione e di abusi. Per la magistratura ordinaria, che almeno a quanto sappiamo non è (ancora?) intervenuta, non si prospettano tempi facili.

Antonio Fulvi

 

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