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L’identità dei porti italiani

GENOVA – Negli ultimi tempi si discute molto dell’eventualità che le Autorità Portuali italiane possano essere trasformate in vere e proprie Società per Azioni, come sembrerebbe auspicare anche la Commissione Europea che nel frattempo, considerandole imprese, ne richiede il pagamento delle tasse sui canoni demaniali.

In realtà un simile cambiamento, oltre ad essere di non facile attuazione, risulta in netto contrasto con la posizione di molti addetti ai lavori, i quali ritengono che un’ipotetica privatizzazione rappresenterebbe un serio ostacolo all’effettivo sviluppo degli scali.

Come noto, la natura giuridica di questi Enti prevede che essi svolgano esclusivamente compiti di governo, disciplina, programmazione, promozione e coordinamento.

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In questo quadro le gestioni portuali, di fatto già private, vengono ricondotte all’interno di un contesto regolatorio che solo le Port Authorities, in qualità di Enti pubblici non economici, possono appunto assicurare.

Secondo alcuni, uno stravolgimento sostanziale dell’attuale assetto, oltre a svilire la funzione di terzietà delle AdSP, comprometterebbe fortemente anche l’ottenimento dei cosiddetti “aiuti di stato”, in relazione ad interventi infrastrutturali da realizzarsi attraverso gli investimenti.

Occorre altresì aggiungere che sul versante sindacale, almeno due delle tre sigle confederali, CGIL e UIL trasporti, asseriscono convintamente che il passaggio da un ambito disciplinato per legge ad uno deregolamentato, possa generare come accaduto per altri settori produttivi, gravi inefficienze e sprechi, con inevitabili e pesanti ripercussioni a carico della collettività.

Il Presidente Zeno D’Agostino, a capo dei porti di Trieste e Monfalcone, in una recente intervista ha dichiarato che, per attribuire maggior dinamismo alle Autorità Portuali, non è necessario ricorrere alla loro conversione ma basterebbe semplicemente eliminare qualche piccolo vincolo di carattere normativo che ne riduce drasticamente la capacità d’azione.

Il riferimento è al comma 11 dell’art 6 L. 84/94 che non consente a queste Amministrazioni di detenere partecipazioni maggioritarie all’interno di società che si occupano di logistica e intermodalità. A mio parere, potrebbe essere questa una delle possibili soluzioni da cui partire, per andare incontro alle esigenze di chi giustamente chiede un maggior efficientamento dei processi decisionali, senza però demolire la connotazione statale dei porti ed evitando soprattutto che finiscano nelle mani sbagliate.

Felice Mgarelli

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Pubblicato il
7 Dicembre 2019

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